Titolo: Autoritratto automatico
Editore: Garzanti
Presentato da Gian Mario Villalta
Camminando per la città ci si può ancora imbattere nelle cabine per fototessera. Sono ormai oggetti desueti, relegati in qualche angolo di stazione ferroviaria, o poco più. Si tratta però, a ben vedere, di oggetti peculiari di grande suggestione, fuori dal tempo, quasi «magici», dove si può entrare e isolarsi per un attimo chiudendo la tendina. E lì fotografarsi, avere un’immagine puntuale di sé stessi in un preciso istante. Affascinato dall’intreccio fra elemento soggettivo e dimensione impersonale dell’autoscatto automatico, Umberto Fiori, poeta tra i più riconoscibili e autorevoli della nostra letteratura, ne ha subito intuito il potenziale artistico e a partire dal 1968, per oltre cinquant’anni, ha scattato e raccolto i propri autoritratti in quella che oggi è una vera e propria collezione, stravagante quanto densa di implicazioni per una riflessione anche filosofica sui temi della conoscenza individuale.
Le poesie raccolte in questo volume, tutte inedite, sono dedicate a quella che l’autore definisce una «curiosità privata», un «esercizio narcisistico» che tuttavia si configura prima di tutto e con originalissima energia espressiva come ricerca del proprio volto più autentico e come esplorazione abrasiva del sé che dice e racconta, senza concessioni e senza indulgenze. Autoritratto automatico, libro ricco quanto imprevedibile, acceso da innumerevoli elementi magnetici per il lettore, allestisce una sorta di autobiografia poetica che è al contempo una riflessione sull’identità e sul carattere mutevole ed effimero dell’essere umano.
Motivazione del Comitato scientifico
Un giovane, poco più che un ragazzo, inizia una collezione che arriva a oggi e che con il tempo diventerà un archivio: entra in una cabina di quelle dove si scattano le foto-tessera, da solo o con qualcuno, vestito secondo la stagione, l’occasione, il tempo, con un libro in mano o uno strumento oppure un gioco. Molti decenni dopo, l’uomo che nel frattempo è diventato un poeta, ripensa a tutte quelle foto che ora sono un cospicuo registro, un raccolto del tempo e della vita. Umberto Fiori, allora, si chiede se riuscirà a conoscere, con la poesia, che cosa è stata questa sua fissazione, questo rito. Autoritratto automatico è un libro di poesie che indagano e scoprono l’invisibile vero di ognuno di noi, non il viso, non il volto, ma la faccia, quella dell’espressione “fare una faccia” o “metterci la faccia” oppure “perdere la faccia”. Se ci pensiamo, quella faccia non la vediamo mai: allo specchio assumiamo una posa (sappiamo che ci guardiamo), le fotografie, ruffiane o impietose, ci mostrano qualcuno che ha i lineamenti del volto congelati in un atteggiamento, uno sberleffo, uno smarrimento. E allora, Umberto Fiori ingaggia un corpo a corpo con quelle foto così seriali e indisponenti, ne fruga i segni, cerca il rovescio dell’immagine, il margine dei pensieri. Perché la faccia, la nostra faccia, la sua, è la luce che attraversa l’istante e il tempo incalcolabile della memoria profonda, sulla quale scivolano i ricordi. La faccia, la sua, la nostra, è negli occhi degli altri, quello che gli altri portano nella loro vita, che è la nostra.
Gian Mario Villalta