Titolo: L’amore da vecchia
Editore: Mondadori
Presentato da Maria Grazia Calandrone
In questi nuovi versi, vivaci e freschissimi, quasi con ironia a dispetto del titolo che li presenta, Vivian Lamarque torna ai lettori con un’opera ricca di impressioni e memoria, di vicende e presagi, che si susseguono come nelle scene di un ampio, libero film. Sono poesie in cui l’autrice si affaccia alle immagini del sempre più frequente insorgere del ricordo e all’apparire anche di volti familiari, riuscendo comunque a conservare intatta la propria vitale attitudine ad aprirsi all’incanto e agli spunti più vari dell’immaginazione. Lamarque ragiona poeticamente sul «fascino discreto degli amori non corrisposti», sull’idea dell’amore «inventato», propone narrazioni, in un’ampia, sorprendente mitologia personale che chiama a raccolta il grande cinema e grandi poeti (da Orazio e Virgilio, con riferimenti a Pascoli e Saba, Penna e Caproni). Si esprime coinvolgendo una realtà animale e vegetale, o la città con i suoi riti anche quotidiani, e poi luoghi di mare, viaggi, ricognizioni sensibilissime in uno spazio/tempo autobiografico. Introduce, con il garbo che le è consueto, pensieri sul senso stesso e sulla natura della poesia in un percorso di consapevolezza nel cuore dell’esperienza. Ma è ben presente, in L’amore da vecchia, un generale senso di provvisorietà del vivere, che porta in sé la coscienza pervasiva del futuro, inevitabile nulla, del non esserci più, fino al momento del nostro «ultimo pensiero». E a tutto questo si aggiunge, nell’età dell’inverno, di cui l’autrice sente il progredire, l’attenzione al presente, con le sue nuove, impreviste minacce. Lamarque muove i suoi passi con una felice varietà di soluzioni espressive, passando da componimenti fittamente prosastici ad altri più sottilmente e sempre incisivamente scanditi, conservando gli accenti di raffinato tono colloquiale in cui si manifesta un lirico senso di pacata e umanissima saggezza.
Motivazione del Comitato scientifico
Se è vero che la poesia è un continuo approssimarsi a qualcosa che non sappiamo, Vivian Lamarque compie la sua approssimazione in libri di lievissima crudeltà come quest’ultimo, L’amore da vecchia. Con una grazia senza pietà, l’autrice trattiene il timbro cristallino dell’infanzia, arriva a mettere nero su bianco la rasserenante uguaglianza fra persona e persona. L’io poetico esposto da Lamarque desidera infatti essere un io collettivo, senza dichiarazioni gigantesche, scrivendo anzi di minime cose, trattando gli astri come cose comuni, avvicinando a sé la grandezza del cosmo per renderla abitabile, confidenziale, come sono elementari le cose reali. Ammesso che ne abbiano uno, compito dei poeti è soprattutto quello di segnalare il limite delle parole, costruire un erbario vivente di parole alle quali la terra del proprio pensiero e, soprattutto, della propria esperienza, dia nuova linfa. Parole che verdeggiano e rivivono dunque sulla pagina come verdeggiano e rivivono le piccole piante raccolte in luoghi strani come la tomba di Emily Dickinson. Certo, abbiamo paura del tempo che ci lascia morire, ma intanto possiamo far rivivere quello che mai è veramente morto, le parole comuni insieme all’erba, perché i poeti rubano senso e parole ai propri stessi sogni. Infine, Lamarque descrive la poesia come desiderio di mettere ordine alfabetico nel caos della vita, svelando così uno dei segreti emotivi della metrica, la necessità di sistemare in schemi sillabici il vivo e vitale disordine cosmico. Così, in una pirotecnica mischia di diminutivi, invenzioni, latinismi e rime interne, Lamarque mostra le cose come sono, con una nudità nella quale si specchiano i nostri segreti e le parole vivono, mosse dal vento leggero di un’invincibile, quasi mai disperata, vitalità.
Maria Grazia Calandrone