L’ultimo faro, DeA Planeta Libri
Paola Zannoner vive a Firenze. Esperta di letteratura, è una delle più importanti scrittrici italiane per ragazzi. I suoi libri, tradotti in diversi Paesi, hanno ricevuto numerosi premi, tra i quali il Bancarellino e il Premio Cento. È stata anche finalista per il Premio Strega. Per De Agostini ha pubblicato anche Voglio fare la scrittrice (2007), Lasciatemi in pace! (2008), Voglio fare la giornalista (2011), Specchio Specchio (2012), La settima strega (2014), Voglio fare l’innamorata (2014) e A piedi nudi, a cuore aperto (2015) e Voglio fare il cinema (2016).
Intervista all’autrice
Ti ricordi qual è stato il primo libro che hai letto?
Il primo libro è stato Pinocchio. Non vedevo l’ora di poterlo leggere da sola perché mia mamma e mia nonna citavano spesso brani della fiaba. Il volume poi mi è stato regalato prima che andassi a scuola e lo tenevo spesso sulle ginocchia imitando l’atto di leggere.
Perché e quando hai deciso di scrivere un libro per ragazzi?
Ho scritto e scrivo ancora libri per ragazzi perché mi sono specializzata in letteratura per ragazzi. Dopo la laurea in lettere, ho lavorato nella Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze, nella sezione di Letteratura Giovanile, per diversi anni. Mi occupavo non soltanto della catalogazione, ma soprattutto dello studio della letteratura sia classica che contemporanea per i più giovani. Preparavo abstract e scrivevo recensioni collaborando alle due riviste “Sfoglialibro” e “Schedario”, pubblicate dalla Biblioteca. La letteratura per ragazzi è un genere che amo, perché sono storie di formazione e di conoscenza, i protagonisti svolgono un percorso di consapevolezza. Per me rappresentano la metafora della vita umana come espansione di conoscenza e percorsi di esperienza.
Ci sono degli autori o un autore in particolare che hanno influenzato il tuo lavoro di scrittrice?
Moltissimi, vorrei dire tutti o quasi, perché la letteratura insegna e nutre. Dipende poi dai diversi periodi della vita. Non c’è dubbio che da bambina sono rimasta colpita e influenzata da Piccole donne di Louise May Alcott, un classico che ancora attrae le bambine di oggi, per la storia appassionante di sorelle che crescono insieme integrando le loro diversità. Da ragazza, ho amato Italo Calvino: era lo scrittore dell’immaginazione, dell’ironia, della fiaba e del racconto surreale, era molto popolare tra i giovani (almeno io ricordo che lo leggevamo tutti), ma non tra i miei professori del liceo, tradizionalisti e sospettosi nei confronti della narrativa contemporanea. Devo dire però che il mio professore di italiano e latino non si spingeva oltre a Manzoni. Persino Virginia Woolf (che considero una specie di faro della mia esistenza professionale e personale) era troppo inglese e troppo moderna.
Raccontaci in breve una giornata tipo di quando scrivi.
È molto banale, una routine. Mi sveglio presto, faccio colazione e mi siedo alla scrivania. Lavoro su un portatile perché in certi periodi dell’anno mi piace uscire di casa e andare in biblioteca a lavorare. Lo faccio perché così non mi sento sola e strana, ma circondata da tante persone che studiano e scrivono sui portatili, esattamente come me. Inoltre, in biblioteca mi sento di far parte di una comunità viva e duratura, che conserva la memoria e l’identità linguistica e culturale. La biblioteca mi accoglie e mi conforta, mi ispira, mi permette di concentrarmi meglio, senza suono del campanello o le chiamate dei call center (di solito chiamano tutti la mattina). La mattina lavoro bene, poi pranzo (cioè preparo il pranzo per me e mio marito), e nel pomeriggio proseguo un po’. D’inverno alle sei vado a yoga, o comunque vado a fare quattro passi. La sera, se non sono stanca, vado al cinema tre o quattro volte la settimana, non guardo la televisione.
Cosa ti piacerebbe che pensassero i lettori una volta terminato il tuo libro?
Lo rileggerò.
Che cosa consiglieresti a un tuo lettore che volesse scrivere un libro?
Molte ragazze mi chiedono consigli per scrivere. Dico loro che bisogna amare la lettura ed esplorare la letteratura, per imparare e per essere più sicuri di ciò che si vuole dire. Bisogna essere disciplinati, e non soltanto fantasiosi: il talento è una parte importante, ma lo è anche la pazienza, la tenacia, il rigore di affrontare la routine della scrittura per settimane e mesi, a volte anni. Non si affronta l’Oceano se non si sa navigare bene, si rischia di naufragare.