Io sono soltanto una bambina, Beisler Editore
Jutta Richter è nata a Burgsteinfurt in Vestfalia nel 1955. Il suo primo libro l’ha scritto ancora teen-ager dopo un soggiorno di un anno a Detroit (USA). Dopo il diploma ha studiato teologia cattolica, germanistica e pubblicistica all’Università di Münster. È considerata una delle più note autrici tedesche degli ultimi vent’anni. Scrive racconti e romanzi per ragazzi e per adulti, nonché canzoni, lavori per il teatro e per la radio. Vince nel 2001 il rinomatissimo Deutscher Jugendliteraturpreis. Nel 2007 con il libro Il gatto Venerdì riceve il Premio Andersen – Il mondo dell’infanzia. Vive in una casa incantata a Westerwinkel, presso Münster.
Intervista all’autrice
Ricorda qual è stato il primissimo libro che ha letto?
Sì, me ne ricordo benissimo. Era una domenica mattina, una piovosa domenica di novembre. Me ne stavo nel mio letto caldo e avevo tirato fuori dallo scaffale il libro delle favole, un librone color argento, con delle illustrazioni così belle da far venire i brividi. Ero arrivata a scuola ad aprile. Le parole facili come “scuola”, “mamma” e “palla” sapevamo già leggerle e scriverle, ma solo in corsivo, in stampatello non ancora. Me ne stavo dunque nel mio letto caldo, intenzionata a guardare per la millesima volta quelle illustrazioni così belle, quando di colpo mi accorsi di aver cominciato a leggere. Lessi la favola de La bella addormentata nel bosco. Lettera per lettera, parola per parola, frase per frase. Fu il principio di una passione che sarebbe durata una vita intera. Fu per me il principio del mondo.
Quando ha deciso di diventare scrittrice per l’infanzia? E perché?
Avevo dieci anni, avevo già preso in prestito tutti i libri per bambini della nostra piccola biblioteca e li avevo letti tutti quanti. Mio padre era giornalista e quel pomeriggio mi portò con sé da una scrittrice che aveva intenzione di intervistare. La scrittrice scriveva opere per l’infanzia. Mi regalò sette libri e una tavoletta di cioccolata e aveva così tanti libri per bambini da superare di tre volte quelli della nostra biblioteca. Fu quel pomeriggio che decisi di diventare scrittrice.
C’è qualche narratore in particolare che l’ha influenzata nella sua attività di scrittrice?
Il terzo libro che ricevetti in regalo da piccola era di Tove Jansson e si intitolava Le memorie di papà Mumin. Ho amato molto quel libro e in seguito ho letto anche tutti gli altri di Tove Jansson. Sì, la Jansson è diventata una sorta di figura di riferimento per me.
Può descriverci in breve una sua tipica giornata di lavoro?
Mi alzo alle 6.30, alle 7.00 faccio una lunga passeggiata con Alma, il mio cane. Alle 8.30 sono già seduta davanti al computer e scrivo, scrivo, scrivo, scrivo. Alle 14.30 Lili grida: «nonna, che si mangia?». A quel punto riemergo dalla mia storia e sono di nuovo a casa. La sera, quando Lili dorme, ricomincio a scrivere e scrivo finché non sono troppo stanca per continuare.
Come vorrebbe che si sentissero i lettori, dopo aver letto un suo libro?
Se erano tristi, vorrei che si sentissero più allegri.
Se erano fragili, vorrei che si sentissero più forti.
Se erano insicuri, vorrei che si sentissero carichi di coraggio.
Che bello sarebbe!
Quale consiglio darebbe a un suo lettore che avesse intenzione di scrivere un libro?
Leggere, leggere, leggere! Ed essere curiosi. Perché solo chi è curioso fa esperienze esaltanti, quelle che vale la pena di raccontare, quelle da cui nascono le storie.
(Traduzione dal tedesco di Bice Rinaldi)