
Titolo: Un invincibile inverno
Editore: Manni
Proposto da Cesare Milanese
«Nicoletta Bianconi, nel suo romanzo Un invincibile inverno, a un certo punto cita due strofe di una poesia di Camus. Nella prima delle due strofe si dice: “Ho compreso, infine, / che nel bel mezzo dell’inverno / vi era in me / un’invincibile estate. / E che ciò mi rende felice.” Nella seconda strofa, invece, si dice: “Ho compreso, infine, / che nel bel mezzo dell’inverno / vi era in me / un invincibile inverno.”
Ecco trovato, da parte dell’autrice, il titolo e il contenuto del libro. Ciò che accade nel libro è ciò che accade alla protagonista come personaggio unico, la cui vicenda di vita complessiva può essere riassunta in pochissime parole. Quelle che bastano per dire di un’esistenza ridotta alla sua nuda proprietà. Di preciso, di lei, si sa soltanto del suo essere pervasa da un’assurda possessione d’amore rappresentata da un’immagine d’uomo, di cui non si sa bene se esista. Ma che lei, nel suo delirio, pensa che esista, sia perché lui, nella vita di lei, ci sarebbe già stato come uomo reale, sia perché lei continua ad attendere che lui ricompaia. Il che non accadrà. Certo, la sua psicoanalista, che è una lacaniana, potrebbe ben dirle che lei, la sua paziente, è un caso esemplare di “mancanza ad essere”. Ma non le dice nemmeno questo: in realtà non le dice niente. Sta di fatto, però, che è nella sala d’attesa del suo studio che questa sua paziente reperisce un libro di Maurice Blanchot: La struttura del disastro.
Certo si tratta del “disastro” che agita lo “spazio letterario”, ma è naturale che questa paziente identifichi il disastro del discorso letterario con il disastro esistenziale. Un disastro dal quale non sembra esserci riscatto o superamento, tranne nei momenti in cui i tormenti dell’inquietudine si placano in virtù dei correlativi emotivi derivanti sia dall’ascolto di certa musica, sia dalla visione di certi film, sia dalla lettura dei libri da lei culturalmente sentiti come più suoi.»