Un pezzo alla volta

immagine per Un pezzo alla volta Autore: Michele Gambino 
Titolo: Un pezzo alla volta
Editore: Manni

Proposto da Carlo D’Amicis

«Stimolato da libri in questo senso esemplari (la lista è lunga, e va da Se questo è un uomo a Come d’aria di Ada d’Adamo) si riaccende ciclicamente il dibattito intorno al confine tra romanzo e memoir, o più in generale tra la forma letteraria e le scritture altre. Un confine destinato ad assottigliarsi e a scomparire del tutto quando ci ritroviamo davanti a un vissuto importante, radicale, e a una voce potente in grado di raccontarlo.

È questo il caso di Un pezzo alla volta di Michele Gambino, giornalista siciliano in prima linea nella lotta alla mafia negli anni più sanguinari di Cosa Nostra. Se il principale nemico da sconfiggere nella guerra contro la criminalità organizzata è l’omertà, le denunce coraggiose, puntuali, di Michele Gambino e dei suoi colleghi del mensile “I siciliani” durante i caldissimi anni Ottanta (denunce che non arretrarono nemmeno di fronte all’uccisione del direttore Giuseppe Fava) rappresentano un vero e proprio atto di eroismo.

Si potrebbe a lungo discutere se davvero i paesi beati sono quelli che non hanno bisogno di eroi, ma ciò che più conta, in un contesto come quello del Premio Strega, è il corto circuito che si viene a creare nel libro di Gambino tra la coscienza civile (che spinse di fatto lui e tutta la redazione del “I siciliani” a una temerarietà incosciente) e l’antiretorica della sua lingua: un corto circuito che genera a tutti gli effetti una partitura letteraria.

Contribuisce non poco a questo risultato la pietas, così profonda da permettersi di essere talvolta scanzonata, dello sguardo di Gambino: la letteratura in fondo ha un unico argomento – l’umano – e in questo cerchio l’autore di Un pezzo alla volta riesce a far rientrare perfino la disumanità del nemico, rivelando il volto squallido, meschino, tragicamente banale, della violenza mafiosa. Leggendo le pagine di Gambino, la famosa frase di Giovanni Falcone – “La mafia è un fatto umano, e come tutti i fatti umani è destinato a finire”risuona di significati più profondi e ci ricorda che il fatto culturale all’interno del quale si producono gli anticorpi all’illegalità non è un mantra per le anime belle ma una postura interiore.

Il valore civile di questo libro (che, ripeto, si accompagna senza intralci alla sua letterarietà) si manifesta anche nel racconto di un mestiere, quello del giornalista, che sta vivendo una parabola inquietante, minacciato da un lato dalla polverizzazione delle informazioni veicolate dalla rete e dall’altro dai condizionamenti dei cosiddetti poteri forti. Ecco dunque che il vecchio watchdog journalist, dopo aver inseguito la verità in Libano, in Afghanistan, in Colombia e negli altri scenari di guerra che Gambino ha esplorato dopo il lungo apprendistato nella sua terra d’origine, si ritrova a mentire a un taxista romano che lo sta portando a Saxa Rubra, vergognandosi di essere finito a inseguire notizie di gossip in un rotocalco televisivo del primo pomeriggio.

È una delle tante scene memorabili di questo libro, dove il dramma si fonde alla commedia, dove l’ironia diventa una declinazione del tragico, dove la bellezza sopravvive alla miseria. È ciò che accade, solitamente, nella vera letteratura.»


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