Il coccodrillo di Palermo

immagine per Il coccodrillo di Palermo Autore: Roberto Andò 
Titolo: Il coccodrillo di Palermo
Editore: La Nave di Teseo

Proposto da Roberto Alajmo

«Se è vera la definizione di Dacia Maraini, secondo cui l’inferno è una Palermo senza le pasticcerie, Il coccodrillo di Palermo di Roberto Andò si configura pienamente come una discesa agli inferi. Il nostos del protagonista nella sua città d’origine è un vortice. Un abisso nel quale egli guarda, rendendosi quasi subito conto che l’abisso, allo stesso tempo, sta guardando lui.

Fra le anime morte della città il lettore è portato a muoversi quasi in soggettiva, misurando gli enigmi che un padre ha seminato nella vita di suo figlio, trasformandolo poco alla volta in un investigatore riluttante.

Se non fosse così intellettualmente fondato, il libro potrebbe somigliare a un poliziesco, ma le convenzioni del genere vengono circumnavigate senza mai sbarcare sulla terraferma, lasciando il lettore in perenne balia del malessere prodotto dal moto ondoso di una narrazione che non concede requie.

E poi, naturalmente, c’è il grande portato letterario della Città. In questo senso Il coccodrillo di Palermo è anche un libro sul romanzesco che ha finito per inghiottire la città, e dunque sulle relazioni che intercorrono tra finzione e realtà. Questo ci dice la leggenda del coccodrillo, che l’autore elegge a paradigma del rapporto tra verità e menzogna.

In una realtà divenuta fantasmatica e illeggibile solo la letteratura, insegna Leonardo Sciascia, può fare da bussola. Forse il protagonista sta cercando davvero ciò che confida al lettore: “la dissoluzione del passato, come nel tempo le cose si separano, si sciolgono, perdono la loro definizione”.

Questo bellissimo e illuminante romanzo è una resa dei conti che riguarda un’intera comunità. E qui entra in gioco la memoria, il rapporto perverso che Palermo intrattiene con la memoria. Come nella Praga di Kundera, anche qui la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio. Ma qui non sono passati i carri armati sovietici: c’è stata una invasione più subdola e pervasiva, quella del crimine, che ha prodotto la convivenza micidiale di cinismo, furbizia, opacità e reticenza.

Leggendo il romanzo si capisce che Palermo non è una città dove l’eroismo si risolve nella semplice alternativa fra partire e restare. È una città metaforica in cui l’eroismo consiste nel tornare – casomai, quando ormai pensavamo di essere in salvo – per cercare di disinnescarla.»


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