8 Febbraio 2021

proposto da Maria Teresa Carbone

Il medesimo mondo

Sabrina Ragucci
Il medesimo mondo
Bollati Boringhieri

Proposto da
Maria Teresa Carbone
«Da Sabrina Ragucci, fotografa, ci si poteva aspettare un romanzo che mettesse la dimensione visuale al primo posto. E così per certi versi è. Ma lo sguardo che l’autrice attiva in questo esordio privo di incertezze ha qualcosa di perturbante, sembra sempre puntare verso i bordi della scena oppure la osserva da molto lontano o infine, al contrario, le si accosta al punto che un minimo dettaglio finisce per occupare per intero il campo visivo.
Viene in mente una videoinstallazione, Close, realizzata dal regista Atom Egoyan insieme all’artista portoghese Julião Sarmento e allestita alla Biennale di Venezia del 2001.  Là, una parete a pochi centimetri dallo schermo obbligava gli spettatori a una visione ravvicinatissima, ingigantendo i particolari, rendendoli insieme insensati e densi di significato. Qui, gli occhi di chi legge sono costretti a concentrarsi su “briciole d’annata, graffiature di tacchi e suole datate parecchi anni precedenti”, un “marciapiede costellato di mozziconi e di chewing gum masticati”, “un cerone più chiaro di due toni rispetto alla carnagione” sotto il quale “si intravede la pelle leggermente butterata”.
L’effetto di questo sguardo continuamente depistato è straniante e accentua per contrasto la forza della voce dell’autrice, una voce spietata e tuttavia segretamente pietosa, “la voce di un dio”, come è stato scritto a proposito del libro. E in effetti, proprio come un dio – onnisciente, onnipotente – Ragucci muove i suoi personaggi (la famiglia Mogliano e soprattutto la bambina Roberta, poi adolescente e infine donna) lungo un arco temporale di quaranta o cinquant’anni, ma sempre usando l’indicativo presente dell’eternità, di tanto in tanto ammonendo con brevi frasi imperative gli stessi personaggi o noi che leggiamo.
Il medesimo mondo è dunque una storia di famiglia, ma è anche, volendo, un frammento di storia nazionale, dall’Italia ancora paesana dell’immediato dopoguerra all’inurbamento, all’emigrazione, alla costruzione tenace di una piccola borghesia alienata e perdente. Non a caso il romanzo si chiude con l’acquisto di una casa di proprietà, sigillo di una conquista sociale che non cancella una vita deprivata, un “medesimo mondo” le cui cattiverie e ingiustizie si intuiscono solo a tarda sera, al confine tra veglia e sonno.»

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