Sin dalla nascita il Premio Strega è stato indice dei gusti letterari degli italiani. I libri premiati dal 1947 a oggi raccontano il nostro Paese documentandone la lingua, i cambiamenti, le tradizioni.

I libri proposti dagli Amici della domenica

immagine per Leuta di Mario Falcone
proposto da:
Gianpiero Gamaleri
«Leuta è una piccola isola, un “rigurgito di terra e sassi di origine vulcanica” nel Mediterraneo, tra Malta e Lampedusa, e rappresenta il luogo immaginario di nascita, di crescita e infine di ritorno del protagonista. Il rapporto tra isola e continente domina anche l’esperienza umana e letteraria di Mario Falcone che non si appaga della sua origine siciliana ma avverte prepotente il bisogno di un’ulteriore isola della fantasia in cui collocare la sua narrazione, con la dimensione del sogno ma anche con quella del travaglio interiore e del dolore di fronte ai più diversi accadimenti della vita. Una considerazione a sé merita la scrittura di questo romanzo, che riflette efficacemente il suo lavoro di soggettista e sceneggiatore di importanti pagine di fiction televisiva nonché di opere cinematografiche. La sua tecnica espressiva gli consente di tenere avvinto anche sulla pagina scritta il lettore con la forza di sequenze visive e letterarie che vanno da efficaci immagini descrittive al ricamo di più sottili stati d’animo del protagonista e dei personaggi che gli fanno da cornice.»
immagine per Confiteor di Piergiorgio Paterlini
proposto da:
Lorenza Foschini
«Settant’anni di vita, raccontati come fossero l’attraversamento di tre secoli con i mutamenti epocali che dall’Ottocento al nuovo millennio si sono succeduti. L’autore riavvolge in modo del tutto originale il proprio percorso interiore – ma profondamente immerso nella realtà – senza mai ricorrere al flusso di coscienza, ma con lo stile del grande narratore di storie. Un libro che gioca dunque con il memoir e con l’autobiografia, ma che in realtà è un romanzo, il romanzo della formazione “permanente” di un uomo dolcemente libero. Sembra di sentire Paul Auster quando dice: “I miei libri biografici non sono autobiografie, non è tanto la storia mia che mi interessa, ma usare le mie esperienze per pormi delle domande sul mondo”.»
immagine per Aqua e tera di Dario Franceschini
proposto da:
Romano Montroni
«Dario Franceschini è un autore di grande sensibilità ed eleganza. Il suo Aqua e tera è un romanzo storico potente ed emozionante, ambientato tra la fine della Prima guerra mondiale e il secondo dopoguerra nella provincia ferrarese, insanguinata dalla lotta tra i braccianti socialisti e i fascisti pronti a tutto per conquistare il potere, fiancheggiati dai proprietari terrieri. Storia, politica, famiglia, amore, lavoro sono alcuni dei temi che si intrecciano nella narrazione, con personaggi memorabili attraverso i quali prende vita tutto un mondo: si parte dal passato per arrivare alla modernità, tra speranze, delusioni, violenze, sogni. E intanto si rinnova la memoria della lotta antifascista in un appassionato racconto civile. Protagoniste sono le donne: in campagna come in città, non sono libere di amare, di studiare, di costruirsi un futuro che non sia quello di moglie e di madre. Ma non si arrendono: tenaci e solidali, lottano in segreto perché almeno le loro figlie possano un giorno seguire le proprie inclinazioni sfuggendo al ruolo che la società vorrebbe cucire loro addosso, e così farsi strada in un mondo che non sia soltanto – come si dice nel titolo – “aqua e tera”.»
immagine per La linea del silenzio di Gianluca Peciola
proposto da:
Gioacchino De Chirico
«Del romanzo di Gianluca Peciola si può dire a buon diritto ciò che a volte si sostiene a sproposito: è un libro necessario. Ambientato negli anni Settanta, è il romanzo di formazione di un bambino, poi ragazzo, che fa i conti con due segreti di famiglia. Uno, molto personale, riguarda l’identità di un padre che non ha mai conosciuto. L’altro, che da personale si fa politico, riguarda il vero motivo per cui la sua amata “cugina” Laura si trova in carcere. E il motivo è che è stata coinvolta nella lotta armata delle Brigate Rosse, ha partecipato ad azioni armate, è stata carceriera di Aldo Moro. Trovo questo romanzo necessario perché è una rivisitazione potente e originale di un periodo importante della nostra storia. Gli eventi, i protagonisti, i processi sono in gran parte noti, ma non lo sono i modi e i motivi in cui le ferite di quegli anni infettano ancora il corpo vivo del nostro Paese: modi e motivi che hanno a che fare con la psiche, con l’inconscio collettivo. Così nel romanzo la famiglia, la paternità, i legami tra le persone non sono solo elementi che compongono una trama: sono ciò che dà senso alla Storia. Gianluca Peciola ha preso la sua vicenda umana e l’ha usata come chiave di lettura del passato di tutti. Lo ha fatto con generosità non solo nella rievocazione storica, ma nella resa narrativa: con uno stile che si concede vari registri, da quello del lessico famigliare a quello del discorso politico, e su cui domina quello della riflessione intima, capace di farsi universale. Ed è così che questo libro esce fin dalle prime pagine dal novero dei memoir e si colloca pienamente nel dominio della letteratura. Particolarmente interessante mi sembra infine il percorso – sicuramente di scavo interiore – con cui Gianluca Peciola autore ha creato un Gianluca personaggio che va oltre lui stesso. Un protagonista che prova a capire, a contrastare, a emulare, a rifiutare, stremato e disorientato in un mondo in cui la sua crescita è un percorso a ostacoli, pieno di menzogne, di non detti e di conti da fare con la storia. La perfetta metafora di un Paese.»
immagine per Breviario delle Indie di Emanuel Canzaniello
proposto da:
Giuseppe Montesano
«Oggi i confini tra i generi si sono assottigliati fin quasi a sparire, e nascono ibridi strani. Non è un bene, non è un male, tutto dipende dalla qualità del risultato: e Breviario delle Indie di Emanuele Canzaniello è un ibrido che ha qualità. Il Breviario racconta il rovescio indicibile della conquista spagnola, e quindi europea, delle Americhe: a partire dal fatidico 1492 fino al secolo successivo. Canzaniello, con anarchica libertà da dettami storici o antistorici, fa salire in scena navigatori, soldati, re, banditi, preti, indios, regine, geografi, sognatori, vittime, filosofi, carnefici, cani, teologi, foreste, giuristi, scrittori. Così ci arrivano le storie del Colombo apocrifo e dei nativi apocrifi, le cronache dell’impavido e magnifico Las Casas e dell’incredibile avventuriero Cabeza de Vaca, del distruttore Pizarro e di quel De Soto che usava i cani per sbranare uomini e bambini, del distruttore Hérnan Cortés e dell’infame india la Malinche detta doña Marina che fu sua amante e tradì il proprio popolo, dell’osceno ideologo della legge del più forte Ginés De Sepúlveda e dell’almeno non ipocrita Diaz del Castillo che scrisse “siamo venuti qui per servire Dio e il Re, ma anche per farci i soldi”, dell’acuto ma ambiguo giurista De Vitoria e del luminoso Bernardino de Sahagún padre dell’antropologia. Ma queste storie ci arrivano volutamente a lacerti e frammenti, come rovine e macerie di storie: interpretate dalla voce dell’autore che interroga gli eventi, e interroga sé stesso e il lettore con una ossessività che svela come dietro la superficie apparente del saggista ci sia la furia del narratore che usa, come una sorta di lampada infera per entrare nelle tenebre del cuore umano, la metafora dello stupro e la sua realtà, la realtà del sesso come violenza ebbra di potere che il carnefice esercita sulla vittima. E il disastro che fu l’incontro tra l’Europa Cattolica e il Nuovo Mondo si mostra allora come una incomprensione unilaterale causata dalla disperata patologia dell’Occidente. A un mondo nuovo – che gli apparve nemico perché troppo vicino al suo stesso desiderio represso di un Eden sulla terra – l’Occidente vecchio applicò le sue regole mentali, le sue norme giuridiche e la sua visione della vita, attingendo a una ratio che si era modellata nell’unione della violenza idealizzata di Roma antica con la violenza ipocrita della fede al servizio di Cesare, e viceversa: una ratio che, attraverso la metamorfosi per cui l’Economia ha sostituito la cieca fede in Dio-Cesare e Cesare-Dio con la cieca fede nell’Algoritmo, è arrivata fino a noi. Nel Breviario Canzaniello muove la sua rabbia giovane ma non ingenua contro la radicale ingiustizia del più grande che mangia il più piccolo, del violentatore sadico che invoca un dio falsificato per fottere il prossimo con più godimento, della perversione incosciente di sé stessa che crede nel bene mentre fa il male, e distrugge i diversi da sé per lenire la propria impotente infelicità. E fa questo da narratore, perché non giudica, ma chiama in causa sé stesso e noi in quanto consciamente o inconsciamente oscuri a noi stessi e alle nostre brame. Breviario delle Indie mi appare, in questo Paese e in questo Occidente, un libro che deve essere letto. E non perché è un libro perfetto, ma proprio perché grazie a Dio è imperfetto: il prezzo da pagare per chi prova, in questo oggi soffocante, a uscire fuori dalla micragnosa imbellettatura e tolettatura del mainstream. Breviario delle Indie è aria viva che soffia nelle cripte dove marcisce la connivenza letteraria o pseudo-letteraria con un presente osceno e idiota.»
immagine per Il vero nome di Rosamund Fisher di Simona Dolce
proposto da:
Filippo La Porta
«Il vero nome di Rosamund Fisher (Mondadori) di Simona Dolce è un romanzo teso, intenso e raggelato, basato su accurata documentazione storica, che racconta la biografia della figlia di Rudolf Höss, comandante ad Auschwitz: prima bambina nella villa “spettacolare” accanto agli orrori del campo, poi in fuga verso la Spagna (dove farà la modella) e infine negli Stati Uniti per cominciare un’altra vita. Qui la ritrova un giornalista, lei accetta di incontrarlo e di raccontarsi. È in parte la stessa storia della Zona d’interesse, film premiato a Cannes e ispirato a un libro di Martin Amis, ma pensata e realizzata da Simona Dolce parallelamente e attingendo anche ad altre fonti. Rispetto al film, rigoroso e asceticamente piatto, l’autrice mette al centro lo sguardo della bambina – tremante, stupito, l’unico che si interroghi criticamente – mostrandosi così più empatica e impegnata in una introspezione psicologica. Il mantra paterno rivolto alla figlia – “le cose che accadono di notte non accadono” – è l’invito sinistro a una rimozione che dovrebbe proteggere il falso idillio di quella “vita felice” ai confini del Lager. Ritmo avvincente del racconto e interrogazione sulla ordinarietà del male si tengono in ogni pagina: fallacie della memoria, nuda resistenza dei “fatti” a ogni manipolazione, attrazione del sadismo (il diritto del potere all’impunità), conflitto tra affetti e giudizio morale, identità come recita ingannevolmente liberatoria (“siamo tutti anche qualcos’altro”, le dicono in Spagna dove lei pensa a sé in terza persona, come se fosse un’altra). Unica utopia è il bucaneve che in inverno annuncia la primavera, con i suoi petali bianchi “imbevuti di una goccia di sole”: una utopia che neanche Primo Levi voleva escludere nei regimi fondati sul terrore. Non si tratta solo di un romanzo, immaginativo e documentatissimo, sulla Shoah. La sua narrazione preme, ansiosamente, sulle nostre coscienze. Anche noi, benché puntualmente informati su ogni evento del presente, viviamo dentro i nostri confortevoli stili di vita davanti a un muro invisibile che ci protegge dalle grida lontane intorno a noi e dalla cenere della Storia.»
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