Titolo: El especialista de Barcelona
Editore: Dalai Editore
Presentazione di Alessandro Barbero, Stefano Bartezzaghi
Come si fa a dimenticare a comando? Com’è possibile perdere per strada la memoria di una storia, se prima non si ha la pazienza di recuperarla passando al setaccio tutto quanto l’ha riempita suo malgrado, diciamo da venticinque anni a questa parte? È quello che si accinge a fare lo Scrittore, seduto su una sedia di ferro all’inizio della Rambla, con una loquace foglia di platano a fargli da spalla e proprio nessuna voglia di scrivere e di vivere come gli altri. Contraltare di questa sua volontà di oblio programmatico e globale è la figura cicciuta e tracagnotta dell’especialista de Barcelona, un docente universitario “che di sé non ha mai saputo niente di essenziale, a parte di essere basso di cavallo e di farsene un cruccio mortale”. Alle spalle e attorno all’especialista, una caleidoscopica orda di parenti che rimescolano i propri sessi e li sovrappongono, una consorteria di avidi, esaltati e feroci come conigli stipati dentro una comune gabbia di pregiudizi, rancori, omertà, tic di finta trasgressione e segreti di Pulcinella. Esseri affamati di soldi, di consenso e di familismo costi quel che costi, innocenti e vili, risoluti a durare in eterno e interessati a non smuovere nulla, nemmeno il tempo, se non per farlo retrocedere e rispecchiarsi in un’infinita gioventù. Per lo Scrittore affezionarsi all’especialista e tenere il conto dei ribaltoni della sua sagrada familia è un tutt’uno, un po’ perché simpatizzare con i mostri è l’unico modo per non farsene sbranare, un po’ perché “per fare chiaro bisogna prima fare un po’ di caldo”. Ha inizio così una lotta all’ultima confidenza taciuta, estorta e profferta tra un uomo esemplare che ha il solo cruccio di non poter condividere la propria integrità con nessuno e diversi esemplari di un’umanità all’ultimo grido antica come Eva, reazionaria come il generale Franco e raccapricciante come un’acquaforte di Goya. Ma la sfida più grande Aldo Busi la lancia a se stesso scrivendo, in una lingua di incontrollabile, folleggiante splendore, un romanzo tanto inaspettato quanto necessario. El especialista de Barcelona è il libro definitivo sull’improrogabile repulisti dell’Occidente, il ritratto bulinato di una civiltà ossessionata dal falso problema del fare bella figura e da quello vero della sopravvivenza, in un’altalena di epica allegria tra ripristino della legge della giungla e sfoggio di cineserie da qui all’aldilà.
Memoria e delirio, autobiografia e invenzione si mescolano in questo come nei precedenti romanzi di Aldo Busi; ma nonostante la ricetta possa apparire la stessa, il risultato è ogni volta un romanzo diverso da qualunque altro, e El especialista de Barcelona non fa eccezione. Seduto su una sedia di ferro della Rambla, dialogando con una foglia di platano, il narratore con un respiro che ben pochi scrittori possono oggi permettersi srotola un monologo vertiginoso e ininterrotto, diviso in venti capitoli solo per permettere al lettore di staccare ogni tanto per prendere un caffè. Intorno a lui pullula un mondo affamato, ignobile e vitalissimo, di famigliacce e amori più o meno mercenari, accampato in una Barcellona falsamente dorata che cela (forse) segreti orrorifici. Lo sguardo paziente del narratore oscilla tra l’incredulità, il risentimento, l’indignazione: ma a rendere memorabile il romanzo è lo stile unico, fastoso, mai manierista eppure grandiosamente riconoscibile, che sta alla lingua di plastica di molta narrativa contemporanea come una Ferrari a una Millecento. Uno stile tenuto senza un cedimento dalla prima all’ultima pagina: una prova straordinaria di scrittura.
Alessandro Barbero
Nulla di quanto scrive Aldo Busi potrebbe essere scritto, se non come lo scrive lui. Non so di quanti altri scrittori italiani viventi lo si possa dire, soprattutto in riferimento a un’opera oramai imponente, costruita in decenni di attività nel silenzio e disinteresse della critica (né l’uno né l’altro davvero completi, però). Con il suo ultimo libro, El especialista de Barcelona (Dalai editore), Busi è tornato al romanzo, praticato con l’abituale oltranzismo sintattico e con l’altrettanto abituale attitudine a sperimentare forme inedite di interlocuzione con il lettore. Grande è il dispiego di personaggi, personalissima la sapienza di descrizioni e dialoghi: ma la storia è raccontata quasi in modo distratto, come se essa stessa fosse la digressione da un discorso molto più importante. Un luogo comune (sedicente critico) attribuisce a Busi una presenza in scena eccessiva, traendone una diagnosi di narcisismo che non tiene conto del gesto con cui Busi sottrae sempre, in realtà, sé stesso dal centro, non appena vi si è posto. La sua letteratura, e El especialista de Barcelona lo conferma, ha una forte carica civile, ritraendo con acume rigoroso – non privo di pietas – la politica delle relazioni fra gli individui. Di questa attenzione per la politica delle relazioni è parte, e non solo espressione, la competenza sintattica e lessicale che Busi manifesta senza tradire sforzi. Il pensiero e il giro di frase di Busi dicono spesso, assieme, la stessa cosa: ed è qualcosa che ha a che fare con la vita delle persone, con il loro individualismo, la loro socialità. Penso allora che non vada persa la tanto rara opportunità per tributare un riconoscimento che obbedisca, più che ai riti della società letteraria, al significato letterale della parola: riconoscendo cioè in Busi un autore di levatura davvero eccezionale e nella sua opera un dispositivo narrativo e letterario capace di rappresentare un’occasione per ogni lettore di riconoscere nelle sue pagine non Busi ma sé.
Stefano Bartezzaghi