
Titolo: La signora Meraviglia
Editore: Sellerio
Proposto da Igiaba Scego
«Nata a Mogadiscio da madre etiope cresciuta in Somalia e padre italiano, arrivato nell’Africa orientale negli anni ’50 per lavoro, Saba Anglana è un’artista poliedrica: attrice, cantautrice, narratrice di storie intrecciate tra mondi. Cresciuta a Roma e oggi residente in Piemonte, ha saputo trasformare la sua identità cosmopolita in un’arte che fonde linguaggi e culture. Negli anni ha condotto il suo pubblico attraverso i luq luq (vicoli) di Mogadiscio, il ventre pulsante di Addis Abeba, le pinete di Ostia e l’elegante compostezza di Torino. Nei suoi concerti, la musica si mescola alla narrazione, a memorie singolari e collettive, e persino alla riflessione sul significato delle parole, creando un’esperienza immersiva e densa di significato.
Se Fairuz è l’usignolo del Libano, Saba è un usignolo senza confini, italiano, etiope e somalo. Un’artista che ha scelto di vivere oltre le frontiere, intrecciando appartenenze senza lasciarsi definire da esse. In La signora Meraviglia (Sellerio), il suo straordinario debutto letterario, questa tensione verso una molteplicità identitaria – che è al tempo stesso ricchezza e spaesamento – emerge con chiarezza.
Il romanzo segue due fili narrativi e temporali come in un gioco di specchi, per accompagnarci a vedere l’universalità del tema dell’identità: da un lato, la storia di Nonna Abebech, rapita da un ascaro somalo, soldato al servizio degli italiani durante l’invasione coloniale dell’Etiopia, e poi abbandonata in Somalia, incinta, costretta a reinventarsi una vita: una storia, quella di Abebech, che ci fa vedere una complessità spesso taciuta da chi ha preferito tracciare linee semplici, buoni da una parte, cattivi dall’altra. Questa vicenda del passato ha un controcanto nella storia di strettissima attualità della cittadinanza: il percorso della zia Dighei, che dopo quarant’anni in Italia lotta per ottenere quel documento tanto agognato che – come suggerisce Saba – non basta tuttavia a riassumere un’esistenza, né la sua né quella di nessuno.
La narrazione di Anglana richiama Gogol, Bulgakov ma soprattutto l’assurdo kafkiano, con il labirinto burocratico che ricorda Il processo: come Josef K, anche Saba e sua zia si ritrovano a navigare un sistema imperscrutabile (con molte informazioni sullo stato attuale dell’iter per l’ottenimento della cittadinanza in italia), dove regole e tempistiche restano opache, come se ottenere tale certificato fosse un’impresa mistica, la ricerca di un Sacro Graal. Ma l’autrice va oltre e invita il lettore ad affrontare con franchezza la questione identitaria, con uno stile insieme evocativo e ironico. Cosa significa davvero appartenere a un luogo: un pezzo di carta può contenere la complessità di un’identità nel mondo globalizzato?
Quante vite stanno dentro una vita? Quanti demoni abitano una mente? Quante meraviglie si nascondono in ciascuno di noi? Attraverso un racconto che oscilla tra realtà e mondo spirituale, Saba Anglana ci invita a ripensare le etichette, a rifiutare identità rigide, a non incasellare l’esistenza. Con una scrittura cesellata e intensa, ci offre una vera e propria pedagogia della complessità – un insegnamento prezioso in tempi di polarizzazioni e semplificazioni forzate.»
Un uomo insegue una giovane, poco più di una bambina, che corre disperata per salvarsi la vita. Lui è somalo, lei etiope, si chiama Abebech, e verrà abbandonata in Somalia con una figlia e un vuoto incolmabile dentro di sé. Nel 1938 l’Africa Orientale Italiana è un regno coloniale, un nuovo impero nato da pochi anni. Molti decenni dopo, nel 2015 a Roma, Dighei è una signora etiope dal carattere ribelle. Ha bisogno di prendere la cittadinanza, il governo ha imposto nuove regole per gli stranieri, anche per chi è in Italia da quarant’anni insieme al resto della famiglia. La nipote Saba aiuta la zia a muoversi nella burocrazia di una città faticosa e contraddittoria: dipendenti comunali confusi, documenti impossibili da reperire, barriere di ogni tipo, situazioni talmente assurde da diventare comiche. Questo percorso frustrante alla ricerca della agognata signora Meraviglia – come in casa chiamano la cittadinanza italiana – si rivela decisivo per comprendere la natura di un turbamento che da nonna Abebech fino a Saba stessa ha infestato tutte loro. Un sentimento oscuro, un senso martellante e oppressivo di vuoto, forse un bisogno insoddisfatto di capire chi si è davvero, la paura raggelante di non essere niente e nulla.
Dal passato emerge la storia di una famiglia sin dall’inizio sradicata: Abebech giunge a Mogadiscio seguendo il caso e la necessità, e in ascolto dei presagi di un indovino. Qui conosce il suo futuro marito e finalmente, con i loro otto figli, sembra possibile una parvenza di felicità, di serenità familiare. Almeno fino a quando Abebech non inizia a scivolare in un abisso dove le parole e il senso della vita svaniscono. Forse è posseduta da uno spirito pericoloso e inquietante, che solo una donna può aiutarla ad affrontare. Questa donna ha un nome che tornerà molti anni dopo: Wezero Dinkinesh, letteralmente signora Meraviglia.
Saba Anglana ha scritto un romanzo di verità violentissima e un memoir pieno di dolcezza, di ironia, a tratti picaresco. Nelle sue pagine che si muovono tra il presente e la Storia tutto è nuovo, diverso, inaspettato: gli spettri esistono davvero, la frustrazione quotidiana si scioglie in risata, il dolore viene condiviso senza vergogna, la violenza del passato si può disinnescare, tramutandola in una energia inattesa.