Titolo: Sangue giusto
Editore: Rizzoli
Presentazione di Gianpiero Gamaleri, Igiaba Scego
Roma, agosto 2010. In un vecchio palazzo senza ascensore, Ilaria sale con fatica i sei piani che la separano dal suo appartamento. Vorrebbe solo chiudersi in casa, dimenticare il traffico e l’afa, ma ad attenderla in cima trova una sorpresa: un ragazzo con la pelle nera e le gambe lunghe, che le mostra un passaporto. «Mi chiamo Shimeta Ietmgeta Attilaprofeti» le dice, «e tu sei mia zia.» All’inizio Ilaria pensa che sia uno scherzo. Di Attila Profeti lei ne conosce solo uno: è il soprannome di suo padre Attilio, un uomo che di segreti ne ha avuti sempre tanti, e che ora è troppo vecchio per rivelarli. Shimeta dice di essere il nipote di Attilio e della donna con cui è stato durante l’occupazione italiana in Etiopia. E se fosse la verità? È così che Ilaria comincia a dubitare: quante cose, di suo padre, deve ancora scoprire? Le risposte che cerca sono nel passato di tutti noi: di un’Italia che rimuove i ricordi per non affrontarli, che sopravvive sempre senza turbarsi mai, un Paese alla deriva diventato, suo malgrado, il centro dell’Europa delle grandi migrazioni.Con Sangue giusto Francesca Melandri si conferma un’autrice di rara forza e sensibilità. Il suo sguardo, attento e profondissimo, attraversa il Novecento e le sue contraddizioni per raccontare il cuore della nostra identità.
«Francesca Melandri ha donato alla letteratura italiana il romanzo dal grande respiro storico che mancava da tanto nei nostri scaffali contemporanei. Si è legata di fatto alla tradizione di Tempo di Uccidere di Ennio Flaiano (primo Premio Strega) o per fare altri due esempi ai Sentieri di Nidi di ragno di Italo Calvino o de I Buddenbrook di Thomas Mann. L’autrice romana attraverso una saga famigliare perfetta, e un protagonista Attilio Profeti tra i più intensi della recente narrativa, ci fa attraversare tre periodi storici cruciali per la storia del paese che non sempre ha fatto i conti con il proprio passato e le proprie malefatte. Colonialismo, postcolonialismo, era berlusconiana diventano non solo tre momenti fatali nella vita di Attilio Profeti, ma tre momenti in cui il meccanismo dell’intero paese viene messo a nudo. La sapienza dell’autrice non è però quello della condanna a prescindere, il romanzo fa molto di più. Scava nella psiche dei suoi protagonisti, in primis Attilio Profeti, un uomo che ha vissuto il fascismo in camicia nera, ma che è stato un fascista quasi per caso o meglio perché la sua generazione (anche chi si è ribellato) ha avuto come orizzonte quella stortura della storia. Attilio Profeti (va ricordato un vero gentiluomo, non un crudele sanguinario) quindi incarna non la squadraccia, e nemmeno il gerarca, ma l’uomo che ha scelto di stare dalla parte sbagliata perché la maggior parte degli italiani per 20 anni ha scelto di stare dalla parte sbagliata. Si era fascisti un po’ per caso, un po’ per blanda convinzione, ma anche perché il fascismo per la generazione degli Attilio Profeti fu anche vita quotidiana quella che cominciava con la scuola e finiva con la fabbrica. Attilio faceva parte di quelli che hanno visto solo il fascismo da piccoli e da grandi nemmeno hanno scelto poi tanto. Ed è questa zona grigia (che si allunga fino al Berlusconismo) che esamina Francesca Melandri. Destrutturandola riesce a mettere in luce anche tutto quello che ci gira intorno: l’oblio del dopoguerra, il postcolonialismo che vede l’Italia fare affari (sporchi) con l’Africa e le contraddizioni degli anni ’90 dove quei fantasmi del passato mai processati si rifanno avanti in una veste politica nuova. Del libro di Francesca Melandri colpisce questo suo spiegare la contemporaneità fatta di migrazioni, razzismo, paure create dai media esaminandole però da una prospettiva storica, da un passato che toglie davvero il fiato. E riesce a fare tutto questo non in un saggio storico, ma in un romanzo godibilissimo, con uno stile e dei dialoghi sopraffini. Un romanzo che non cerca scorciatoie, ma che prende la materia romanzesca e la rende necessaria. Sangue Giusto sarebbe piaciuto da morire anche a Fëdor Michajlovič Dostoevskij, ne sono sicura. Perché è quella la lezione di stile, coraggio, senso del personaggio che Francesca Melandri ha assorbito.»
Igiaba Scego
«Una trama avvincente capace di catturare e mantenere l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina, una scrittura con un ritmo che si avvale della sua collaudata esperienza di sceneggiatrice per legare tra loro quadri lontani nello spazio e nel tempo in una narrazione coerente, la riscoperta di elementi urbani condannati all’insignificanza dalla nostra colpevole distrazione, una documentazione di eccezionale estensione e profondità che le permette di creare una sapiente fusione tra episodi storici ed immaginazione, una capacità di narrare con pari intensità scene di rara crudezza e rapporti personali di profonda tenerezza, tecniche di suspence non fini a se stesse, ma calate in un racconto tanto verosimile da renderle indistinguibili rispetto allo scorrere della vita quotidiana, ma soprattutto una grande sensibilità verso problemi del nostro tempo che non indulge in tediose analisi sociopolitiche ma che fa corpo con l’esperienza dei personaggi, che diventano compagni di viaggio del lettore facendogli vedere le cose dal di dentro. In questo libro espressioni che ascoltiamo e usiamo tutti i giorni, come “flussi migratori” si concretizzano in esperienze profonde, facendoci passare dagli stereotipi a conoscenze, sentimenti ed emozioni reali.»
Gianpiero Gamaleri