Titolo: La terra del Sacerdote
Editore: Neri Pozza
Presentazione di Valeria Parrella, Romana Petri
Una ragazza corre nella campagna buia più veloce che può, senza voltarsi indietro. È finalmente riuscita a scappare dalla gabbia in cui la sua aguzzina la teneva prigioniera. La ragazza si accascia, urla e partorisce, ma a quell’urlo di dolore non segue alcun pianto che annunci la vita. Lascia il bambino morto sotto un albero e prosegue fino a un fienile. La ragazza non lo sa ma la terra su cui sta cercando rifugio è conosciuta da tutti come “la terra del Sacerdote”. Agapito è un uomo burbero e solitario, arido e secco come la sua terra, violento e duro. Tanti anni prima aveva provato a fuggire la povertà della sua terra, il Molise, emigrando in Germania; lì era divenuto sacerdote ma ormai di quel saio e della promessa fatta prendendo i voti è rimasto solo un soprannome. Dalla Germania è tornato con un segreto troppo grande e ha barattato il suo silenzio con la terra su cui vive. Quando Agapito scopre la ragazza nascosta nel fienile si trova di colpo al centro di un affare molto più grande di lui; la ragazza è un’immigrata clandestina, portata con l’inganno dall’Est dell’Europa e costretta a ripagare il passaggio in Italia in modo disumano: rinchiusa come un animale in gabbia e utilizzata per partorire figli da destinare all’adozione o al traffico d’organi. Agapito decide di non mandarla via ma di subentrare ai precedenti “carcerieri” mettendo a disposizione della malavita la sua casa e la sua proprietà come “allevamento” per questa e altre ragazze.
Credo che questo romanzo di Piccirillo debba essere letto da tutti gli amici del Premio Strega, perché compie due cose: la prima è il radicamento al suolo, al territorio, la terra del titolo, che è una cosa sempre da apprezzarsi nelle nuove generazioni di scrittori che si affacciano, e a maggior ragione quando questa terra è il sud Italia. Il secondo movimento è una proiezione verso il futuro, verso i dolori del mondo, verso i migranti e i reietti, ottenuto rarefacendo i dettagli, come impiantando la storia del pastore e della donna in un nohow da fine del mondo, da fantascienza. L’unione delle due cose mi pare inauguri una strada nuova per la letteratura italiana.
Valeria Parrella
Presento volentieri al Premio Strega 2014 il libro di Paolo Piccirillo, “La terra del sacerdote”, perché mi è parso un romanzo davvero sorprendente. A una trama molto ben giocata si aggiunge un linguaggio maturo, compiuto, fatto di semplicità e complessità calibrate con vero talento. Senza mai cedere al compromesso del “giovanilismo”, l’autore, giovanissimo, ha scritto un romanzo-romanzo, di autentica e visibile narrativa. I temi funesti di un presente scabroso sono i temi eterni, quelli che circolano all’interno di ogni grande narrazione. In questo romanzo, dominato da un male imprescindibile per l’uomo, Piccirillo fa nascere il suo mondo dalla colpa e dalla morte. Il suo non è un Paradiso Perduto, ma un Paradiso che l’uomo non ha mai conosciuto e che dunque non può nemmeno rimpiangere, semmai sognare un giorno di costruire per la prima volta sulle proprie antiche e rovinose sconfitte di peccatore. Se c’è bontà, in questo romanzo nasce solo dalla consapevolezza del male, della fede perduta, dal prezzo che bisogna pagare.
Una sorta di predestinazione determina, infatti, le azioni dei personaggi, tanto nella loro inevitabile rovina quanto nel loro ambiguo desiderio di salvezza. Un’opera davvero unica nel panorama della narrativa italiana.
Romana Petri