Titolo: Sofia si veste sempre di nero
Editore: minimum fax
Proposto da Diego De Silva, Lorenzo Pavolini
Nei suoi racconti, cesellati con la finezza di Carver e Salinger, Cognetti ha saputo rappresentare con sorprendente intensità l’universo femminile. Ed è ancora una donna la protagonista del suo nuovo libro, un romanzo composto da dieci racconti autonomi che la accompagnano lungo trent’anni di storia: dall’infanzia in una famiglia borghese apparentemente normale, ma percorsa da sotterranee tensioni, all’adolescenza tormentata da disturbi psicologici, alla liberatoria scoperta del sesso e della passione per il teatro, al momento della maturità e dei bilanci. Con la sua scrittura precisa e intensa, che nasconde dietro l’apparente semplicità una straordinaria potenza emotiva, Cognetti ci regala il ritratto di un personaggio femminile indimenticabile: una donna torbida e inquieta, capace di sopravvivere alle proprie nevrosi e di sfruttare improvvisi attimi di illuminazione fino a trovare, faticosamente, la propria strada. Un libro avvincente in cui ciascun lettore troverà momenti di bellezza e di dolore, di ansia e di riscatto, che riconoscerà di aver vissuto anche sulla sua stessa pelle.
Questo libro è la biografia anomala di una donna raccontata a pezzi. In un certo senso, il tentativo di una possibile ricomposizione dell’identità. Il pregio della scrittura di Cognetti sembra essere quello di sapere poco della vita che racconta, di tenere una distanza sapiente dalle beghe che lui stesso innesca. E i racconti di Sofia si concludono tutti – come lei – un po’ in levare, in una saggia incompiutezza che ci lascia, ad ogni fine, la voglia di rileggere.
Diego De Silva
“Io sento che la divinità s’è spezzata come il pane dell’ultima cena, e che noi ne siamo le briciole. Di qui codesto sentimento di infinita fraternità”. Leggendo Sofia veste sempre di nero sembra di sentire ripetere a ogni pagina questa frase che Melville scriveva in una lettera a Hawthorne, e di trovare nel romanzo di Paolo Cognetti la tovaglia dove a fine banchetto può raccogliersi e orientarsi di tutte queste briciole un senso disperso. La calamita è Sofia Muratore, tra i personaggi femminili più veri, quasi familiari, messi in giro per il mondo della letteratura contemporanea italiana e non soltanto. Non l’abbiamo difatti tutti incontrata, a una festa o in un bar, almeno una volta negli ultimi trent’anni? Eppure nessuno era riuscito a raccogliere le tessere della sua storia e rendercela sorella immaginaria e concreta come sa fare Paolo Cognetti. Tra coloro che sono nati subito dopo gli omicidi Pasolini e Moro non sono pochi a condividere almeno un tratto della formazione di Sofia. Naturale quindi provare a specchiarsi nei suoi occhi leggermente strabici, credendo finalmente di ritrovare il compagno di giochi di una volta, con il quale una lunga dissimulata intesa sarà sempre in grado di rifondare la fiducia nel presente in fuga, facendo combaciare letteratura e realtà, utopie piratesche e abbandoni continui. Ma la grazia descrittiva di Cognetti, la sua grande mobilità nello sguardo, e anche una inusuale serenità narrativa riescono a fare qualcosa di più che semplicemente confortare il lettore e offrirgli un personaggio in cui riconoscersi: sa imbrigliare i mille rivi di un passato recente già pieno di perdite e disastri mettendolo al cospetto di un futuro senza possibilità di epica maggiore, tutt’al più una canzone, un blues da dedicare alla donna ginepraio di cui resteremo per sempre innamorati, per fedeltà a quel bisogno di avventura alimentato nell’infanzia, con la saggezza di chi sa riconoscere la fine delle cose.
Lorenzo Pavolini