Titolo: unastoria
Editore: Coconino Press-Fandango
Presentazione di Nicola Lagioia, Sandro Veronesi
unastoria è la storia di un uomo che va in pezzi. Silvano Landi, scrittore di successo lasciato dalla moglie, alla soglia dei cinquant’anni finisce in un ospedale psichiatrico. Lo hanno trovato in stato confusionale su una spiaggia. Sembra non comprendere più la realtà e disegna ossessivamente due cose che ricorrono nelle sue visioni: una stazione di servizio e un grande albero spoglio. Landi è affascinato dalle lettere ritrovate del bisnonno, soldato nella carneficina della Prima guerra mondiale, che dalle trincee scriveva a casa. Sempre a un passo dalla morte, ma animato da un’incrollabile volontà di vivere per poter tornare un giorno dalla moglie e dal figlio. Le due storie, il presente di Silvano Landi e il passato del suo avo Mauro, si intrecciano e diventano unastoria. La storia della fragilità di ognuno di noi, sospesi tra la bellezza e il continuo sentimento della sua perdita, tra la dolcezza e la tragedia della vita.
unastoria è il libro con il quale Gipi porta a compimento un percorso iniziato molto tempo fa, segnando una seconda età dell’oro per il graphic novel italiano, e soprattutto dando vita a una summa di ciò che è stata la rappresentazione del nostro paese nell’ultimo decennio. L’attenzione al reale, la provincia per il tutto, una sofferta rilettura del passato (non museo di cere ma vera “lingua salvata” del protagonista di unastoria), il disagio esistenziale di vivere un tempo (il nostro) che porta all’angoscia se non alla pazzia – il disagio mentale letto come certificazione dell’esser vivi nel proprio nucleo irriducibile e al tempo stesso dell’avere introiettato i vizi, le meschinità e le miserie che quello stesso nucleo minacciano da fuori –, non sono forse i temi intorno a cui molta tra la letteratura venuta fuori nel nuovo secolo si è stretta sempre più? Quali allora le risorse da cui Gipi attinge per raccontare una storia che nel profondo riguarda tutti noi? Non la letteratura e il fumetto e la pittura come addendi, ma un risultato che le singole parti l’una sopra l’altra non spiegherebbero. A estrarre a tutti i costi le fonti di ispirazione si potrebbero trovare mescolati Erich Maria Remarque e Mario Rigoni Stern, Pier Vittorio Tondelli e Albert Camus, e poi la scuola del raccontare storie per immagini che diplomò Stefano Tamburini e Andrea Pazienza e Filippo Scozzari, trasformando per qualche anno l’Italia in uno dei più avanzati centri europei in questo campo. E tuttavia un’operazione del genere sarebbe lecita fino a un certo punto, così come, per il background di molti scrittori italiani delle ultime generazioni, sarebbe poco realistico immaginare una cesura netta tra le suggestioni dei «Quaderni Piacentini» e quelle di «Frigidaire», di «Nuovi Argomenti» e di «Cannibale» (da cui una fortunata corrente letteraria di metà anni Novanta prendeva non a caso nome), di «Positif» e di «Métal Hurlant». unastoria di Gipi non è il risultato di un percorso lineare e diligente attraverso tutto questo, ma ciò a cui l’arte del raccontare storie può arrivare quando urgenza narrativa, intensità e grande padronanza dei mezzi espressivi lasciano evaporare intorno a sé le barriere tra i generi.
Nicola Lagioia
Indiscutibilmente, unastoria è un “graphic novel” – si tratta di un dato di fatto. In attesa di una traduzione italiana del genere letterario individuato da questa definizione (i francesi, sempre disinvolti, utilizzano l’espressione “roman illustré”, ma non va bene), si tratta di capire quanto questo libro sia un romanzo e quanto la sua bellezza debba allo straordinario talento grafico del suo autore. In questo senso mi sembra di poter dire che, scontata la bellezza dei disegni, per i temi trattati e per il suo passo compositivo unastoria sia più “novel” che “graphic”. Anzi, per come il libro, malgrado il titolo, contiene e porta a compimento in realtà due storie, per come le intreccia e le compatta in un tutt’uno poetico e avvincente, viene da dire che la parte grafica è messa al servizio della scrittura, e non viceversa. Il disegno, cioè, con la sua potenza e la sua immediatezza, viene perlopiù utilizzato nelle descrizioni, allo scopo di accelerare o rallentare il ritmo della narrazione, che rimane però sempre governata dalla scrittura. Perciò, alla fine, dato che la sua lettura produce indiscutibilmente – ecco un altro dato di fatto – il gusto e il retrogusto dei grandi romanzi, si deve concludere che unastoria appartiene alla nostra migliore tradizione letteraria. Se Malaparte o Cassola o Ottiero Ottieri avessero saputo disegnare così bene, il graphic novel lo avrebbero inventato loro – e magari oggi si chiamerebbe romanzo grafico.
Sandro Veronesi