2016: La reliquia di Costantinopoli, Neri Pozza
Paolo Malaguti è nato a Monselice (Padova) nel 1978. Attualmente lavora come docente di Lettere nella provincia di Treviso e di Vicenza. Con la casa editrice Santi Quaranta ha pubblicato Sul Grappa dopo la vittoria(2009), Sillabario veneto (2011) e I mercanti di stampe proibite (2013).
Intervista all’autore
Ricorda qual è stato il primo libro che ha letto?
Non so se sia stato il primo libro in assoluto, certamente è il primo libro che mi ha tenuto inchiodato alla pagina. Si trattava de Il richiamo della foresta di Jack London. Al fianco di London e degli altri grandi dell’avventura (Stevenson e Verne in primis) non posso poi non citare l’importanza ricoperta, nella mia prima palestra di lettura, da Guareschi, a mio avviso un grande del Novecento spesso ancora oggi ingiustamente trascurato.
Ci sono scrittori con cui sente di essere in debito?
Ovviamente sì! E altrettanto ovviamente credo che ogni libro letto e amato costituisca un serbatoio da cui, coscientemente o meno, attingo quando scrivo. Difficile elencarli tutti, ma, azzardando una scelta, mi riconosco fortemente debitore, a un livello per così dire “locale”, di Meneghello, Mario Rigoni Stern, Buzzati, oltre al già citato Guareschi. A un livello più alto, subisco il fascino di tutti quei grandi che con il loro genio hanno forzato i confini linguistici, deformando il lessico, inventando neologismi, stabilendo nuovi confini comunicativi: Dante, primo su tutti, poi Petronio, Teofilo Folengo, Rabelais, Gadda.
Ci racconti in breve una sua giornata tipo di quando scrive.
Ho notato che le mattine che posso dedicare alla scrittura sono utili per la strutturazione cerebrale, per le descrizioni, o per lo studio delle fonti: una scrittura più fredda e di analisi. La scrittura più piena e per così dire violenta arriva dopo cena, e di notte. Se il varco narrativo che riesco ad aprire è buono, riesco ad accumulare anche una decina di cartelle in tre o quattro ore di scrittura senza interruzioni. Un altro aspetto che ho notato nella mia scrittura è la sua vicinanza alla condizione dell’allenamento sportivo: quando inizio un nuovo progetto, magari dopo un paio di mesi di pausa, vedo che ho il fiato corto, che le pagine si sommano con lentezza, e la creazione dell’itinerario narrativo procede a strappi. Poi, un po’ alla volta, mano a mano che riprendo confidenza, vedo che il processo di scrittura acquista fluidità e che (questo lato in particolar modo mi piace molto) fatico a star lontano dal computer, non vedo l’ora di aggiungere un capitolo, di far fare qualcosa di nuovo al protagonista.
Cosa le piace del suo lavoro di scrittore e cosa non le piace?
La risposta è probabilmente banale, ma tant’è: mi piace la costruzione del libro, soprattutto nei suoi passaggi più critici. Mi piace quando la trama si inchioda per un passaggio difficile, per una svista da sanare nell’intreccio, o per una deviazione che mi piacerebbe inserire, ma che sembra non volersi incastonare a dovere nell’evoluzione del racconto. È in quei momenti che in qualche modo sollevo la testa dal “qui e ora” del cantiere di scrittura, del singolo capitolo o della singola pagina, e guardo il progetto nel suo insieme, studiandone l’aspetto e saggiandone la resistenza. E allora mi piace davvero inventare, progettare, dare libero sfogo alla fantasia per uscire dal vicolo cieco in cui mi sono infilato senza infrangere le regole della narrativa. Cosa non mi piace… In effetti posso dire cosa mi piace di meno, come ad esempio le fasi più meccaniche della revisione delle bozze, delle correzioni formali, delle riletture prima della stampa… ma, anche dal momento che la scrittura non è la mia professione principale, e che mi dedico a questa attività per passione e divertimento, ogni sua fase ha almeno un aspetto chi mi affascina.
Qual è stata la molla che l’ha spinta a scrivere il suo ultimo libro?
Tante molle sono scattate per spingermi alla sfida de La reliquia di Costantinopoli. In ordine cronologico, prime tra tutte sono arrivate le reliquie: ormai molti anni fa, in seguito alla sperimentazione della morte di una persona cara, ho iniziato a riflettere, nella scrittura privata, sul rapporto tra la perdita degli affetti e la loro permanenza attraverso microcosmi di oggetti minimi, che continuano a parlarci di loro, nella nostra quotidianità. Da qui è nato il progetto di un racconto storico che, mediante una “saga delle reliquie”, mi permettesse di indagare anche il senso delle risposte che gli uomini cercano di fronte alla fine, al distacco. Chi ha fede potrebbe definirla una ricerca del sacro attorno a noi. Ripensando negli anni a questo progetto, è arrivata la seconda “molla”, ossia la storia di Costantinopoli, che subito mi ha affascinato profondamente, per la sua ricchezza, la sua importanza enorme per la nostra cultura, e per la sua sostanziale assenza dalla nostra memoria collettiva. Ho quindi deciso di tentare la scrittura di un romanzo storico che trattasse l’argomento delle reliquie nel contesto specifico della Costantinopoli a ridosso della sua fine come capitale cristiana e della sua rinascita come capitale musulmana.
L’ultima molla, in ordine di tempo, è stata quella della lingua: studiando le fonti che mi hanno aiutato ad avvicinarmi alla materia che volevo narrare, mi sono imbattuto nella parlata giudeo-veneziana delle comunità ebraiche presenti a Venezia. È stato il sigillo finale: poter giocare con i codici linguistici mi diverte e mi appassiona, e la mescolanza linguistica è un elemento che cerco di inserire sempre nella mia narrazione. Quindi, grazie a queste tre “molle”, ho preso il coraggio a due mani e ho iniziato il viaggio!