Come ho perso la guerra

immagine per Come ho perso la guerra Autore: Filippo Bologna 
Titolo: Come ho perso la guerra
Editore: Fandango Libri

Proposto da Alberto Asor Rosa, Giorgio van Straten

In un paese della provincia toscana il tempo sembra scorrere più lento, e la serenità regna sovrana. Il giovane rampollo della nobile famiglia Cremona, Federico, vive il suo essere nobile con un po’ di  disagio. Tutto cambia con l’arrivo di Ottone Gattai, spietato e avido imprenditore di acque. Improvvisamente il progetto di un enorme impianto termale sconvolge la vita di tutti i suoi compaesani. Interessi politici ed economici sembrano corrompere il naturale ordine delle cose. Molti non ci stanno e dopo una prima pacifica protesta un gruppo avvia una guerriglia contro Gattai che sta sequestrando e privatizzando tutta l’acqua della zona. Nella lotta si distingue Federico Cremona, che vede finalmente stagliarsi all’orizzonte l’occasione di un proprio riscatto.

Filippo Bologna racconta con irresistibile verve la dolceamara saga della propria antica famiglia e per giunta la inquadra nelle vicende di un paese contadino toscano, di colore politico assai rosso, divenuto via via uno stralunato centro turistico termale nell’era del capitalismo globale. Oltre alle qualità narrative suddette, facilmente comprovabili con un’analisi critica seria, registriamo che l’autore è molto giovane, è un esordiente, scrive per passione e non per lucro, concorre, sì, ma anche un po’ se ne frega.
Alberto Asor Rosa

È raro che un autore esordiente abbia già una voce riconoscibile e personale, è raro che uno scrittore 
di oggi non scriva un romanzo come se fosse un film o come se lo dovesse diventare, come se fosse 
un fumetto o un’altra qualsiasi forma multidisciplinare  di espressione. Filippo Bologna, invece, è uno scrittore che ha una voce e che la usa solo come un fatto letterario, con una totale fiducia nella letteratura, e nel farlo non perde niente della capacità di coinvolgere il suo lettore, sia che racconti 
di un allucinato presente (o forse di un futuro possibile) o delle storie famigliari di anni lontani.
Giorgio van Straten


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