Il bambino che sognava la fine del mondo

immagine per Il bambino che sognava la fine del mondo Autore: Antonio Scurati 
Titolo: Il bambino che sognava la fine del mondo
Editore: Bompiani

Presentazione di Umberto Eco, Angelo Gugliemi

“Correte. Mio padre sta uccidendo mia madre.” La telefonata arriva alla stazione di polizia alle due del mattino. A farla è un bambino biondo con due grandi occhi blu che fissano il vuoto. Ma la mamma gli toglie la cornetta dalle mani: non è vero, non è accaduto niente, suo figlio urla nel sonno, suo figlio è sonnambulo. È un bambino che, notte dopo notte, sogna la fine del mondo. Trent’anni più tardi, un terribile sospetto scuote una città del Nord Italia: i bambini di una scuola materna accusano gli adulti di azioni orribili. Ben presto, come una pestilenza del nuovo millennio il contagio della paura si allarga all’intero Paese. Nella stessa città, un professore universitario disilluso, legato a una donna che ama ma dalla quale non vuole figli, viene sollecitato da un grande giornale a condurre un’inchiesta sul caso che spaventa l’Italia. Risucchiato dal gorgo della cronaca nera, dovrà scoprire quanto sia sottile la linea che separa la vittima dal carnefice, l’accusato dall’accusatore.

Il libro di Scurati è la storia di come il germe del sospetto possa insinuarsi in una città di provincia travolgendo a un certo punto individui, famiglie, istituzioni, inducendo tutti a ignorare l’evidenza e a sovravalutare gli indizi. Ciò che rende il libro attuale, al di là dei riferimenti a fatti di cronaca reali, è che ci fa respirare non solo la sindrome del sospetto ma anche la sindrome del complotto. E così questa Bergamo si dilata oltre le sue mura per diventare allegoria più vasta di tanti altri casi. Questa per me l’attualità e il fascino del libro. Lo stile sostiene l’ossessione e l’immagine del bambino sonnambulo fa da contrappunto alla vicenda accentuando il tono onirico e incubatico di ogni caccia al Nemico.
Umberto Eco

Le parole del bambino di Antonio Scurati colpiscono e affondano il fondamento stesso su cui poggia la nostra vita, e cioè quella stessa realtà che noi siamo e di cui abbiamo perso l’esperienza.
Angelo Gugliemi


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