Titolo: Acciaio
Editore: Rizzoli
Presentazione di Giuseppe Conte, Giorgio Ficara
Anna e Francesca, “tredici anni quasi quattordici”, vivono a Piombino nei casermoni di cemento di via Stalingrado. Una casa con vista sul mare, non sulla fabbrica. La fabbrica è l’acciaieria Lucchini che ancora oggi, con il suo altoforno sempre acceso, dà pane e disperazione a tutta Piombino. Anna e Francesca, la mora e la bionda, sono inseparabili e bellissime, i loro corpi sono esplosi in maniera irriverente e loro si divertono a mostrarli e a farsi desiderare. Ma quando Anna scopre l’amore e il sesso con Mattia, un amico del fratello, Francesca si sente tradita e rompe ogni legame con lei. Così le due amiche, risucchiate nelle loro storie private, si trovano sole davanti ai genitori buoni a nulla o assenti o violenti, e si riabbracceranno solo quando la vita le sottoporrà alle prove più crudeli senza sconfiggerle. Silvia Avallone racconta una periferia che pare non avere più rappresentazione pubblica, giovani operai tra sogni televisivi di ricchezza e infortuni sul lavoro, cocaina e criminalità comune, un’Italia alla ricerca di un’identità e di un futuro che sembrano orizzonti lontanissimi, irraggiungibili come l’isola d’Elba, meravigliosa e a poche miglia dal mare, un paradiso a portata di mano, eppure inaccessibile.
Il romanzo di Silvia Avallone presenta rare qualità di forza poetica, di intensità vitale e di verità. La scrittrice ha saputo descrivere le acciaierie, i casermoni operai, le famiglie che li abitano con una potente epicità lirica. E, in una versione personale del romanzo di formazione, ha saputo dar vita a due bellissime protagoniste adolescenti, indimenticabili per il loro spirito ribelle e la loro contraddittoria tenerezza.
Giuseppe Conte
Dopo anni di silenzio e reticenze, l’industrializzazione e i suoi esiti postmoderni sono rappresentati in questo romanzo con una non comune maestria realistica e critica. A Piombino, nel quartiere Stalingrado, il cui aspetto è una dura e “desolante” parodia dell’architettura socialista, o in discoteca, variabile atrocemente festiva del quartiere stesso, giovani uomini e donne-bambine vivono la loro alienazione come un sogno. Prigionieri nel doppio d’un mondo vuoto, a differenza dei loro padri muti e infelici, essi sono loquaci e sognano “l’istante di gloria” d’una pienezza diffusa, diafana, disponibile, onnicomprensiva. Sono smarriti, sghembi, malati della stupidità “disumana” dell’informazione. Ma sono paradossali: assolutamente finti, pervasi della finzione generale della loro esistenza, e assolutamente veri, indimenticabili in quanto veri: respiranti, rivestiti di umanità residuale, caldi e vivi nell’universale diniego. Così Acciaio è un libro che inopinatamente restituisce forza di gravità al romanzo e ci lega e obbliga, formalmente, nel suo rinnovato progetto di critica della realtà.
Giorgio Ficara